lunedì 27 ottobre 2003

La famiglia

Il mio grosso grasso matrimonio greco che volendo tradurre potrebbe essere
La mia grassa grossa famiglia italiana

Chiassosa, enorme, talmente enorme da perdimici ogni volta che l'incontro e questo succede ogni Natale oramai, da quando ho facoltà di scegliere, di pensare. E chissà forse lo salterò questo Natale. Li ho sempre evitati. Credo di essere un ramo di mia nonna materna e mio nonno paterno
Timidi, solitari, amorevoli, troppo sensibili, che si sono persi mille volte. Gli altri? GLi altri li guardo come essere scesi da un altro pianeta. Urlano e strepitano, si fanno gli affari degli altri. Troppo presi dalla vita altrui per vivere la propria.

Ma, a differenza dei miei parenti che vivono a Parigi, questi di Milano se c'è un problema lo affrontano tutti insieme, ogni ferita è rimarginata insieme.
A Parigi invece si sente che sono satelliti isolati della stessa famiglia. Pensavo di esser anche io un satellite ed invece sono stata una cometa che seguiva la mia nonna, ma assolutamente diversa non solo per cultura, ma per sentimenti e valori.

In Francia è così tutto... "apparenza", o almeno alcuni fratelli e sorelle di mia madre la pensano così. Tutti a pensare a quanto dimagrire ma assolutamente assenti se qualcuno è in ospedale... e dire che le radici sono siciliane. Chissà da chi hanno preso... chi ha venduto loro il cuore. Perché piangere una madre morta ed essere stati assenti? venderla in un tribunale per non spendere cento mila lire? Ma queste sono vergogne che non vanno dette in pubblico, panni sporchi che si lavano nelle quattro mura, perché ti vergogni così tanto di fare parte di quella famiglia... ma così tanto. E non poter parlare per paura che le cose si ritorcano contro quella piccola vecchietta che ha perso la memoria e il passato, e contro suo marito che è perso senza lei.

Ma lei muore.
Ed allora per me diventano solo sorelle e fratelli di mia madre. Qualcosa che non fa più parte della mia vita. E il rancore non si acquieta. Pensavo di tornare da Parigi e trovare le braccia calorose di questa di famiglia, che altri meriti non ha se non stare vicino a chi soffre. Ma mia madre non fa parte della famiglia in fondo. ed io...""non è possibile che soffra così tanto" perché si crea una sorta di gelosia e di orgoglio ferito, perché io a loro non ho mai così voluto bene ed allora ci hanno lasciato sole. A me e alla mia mamma.

E' brutto non saper perdonare. Ma non ce la faccio. Non perdono l'errore consapevole, ci son cose sempre più grandi in cui vecchi rancori e invidie vanno per forza messi da parte.
Ho un brutto carattere? oh si, brutto carattere di chi si ostina a guardare la gente negli occhi e sentirsi pulita. Mi sento pulita. Pulita e con il privilegio di poter guardare tutti negli occhi. Perché se non ce la faccio, lo dico. Se ho fatto del male sono stata sempre consapevole delle conseguenze.
Senza nascondere il male che è in me.
Senza nascondere il bene che è in me.

Ed allora siamo noi. Io mamma e papà. La famiglia.
La mia famiglia.
Ed i miei satelliti sono i miei amici.
Sorelle e fratelli che mai ho avuto ma che ho scelto e che mi hanno scelto.

mercoledì 22 ottobre 2003

Vendute

Sto leggendo Vendute.
Nel luglio 1980, all'età di 15 anni, Zana partì per una vacanza nello Yemen con un amico di suo padre. La vacanza sarebbe dovuta durare sei settimane; lei partì da sola, con questi due sconosciuti per un paese straniero.
Hockail, il villaggio nella Maqbana dove abitava l'uomo, sarebbe stata la prigione di Zana.
Le condizioni di vita erano spaventose: un logoro materasso di appena sei cm di spessore su cui dormire, una stanza buia e umida con un secchio che fungeva da bagno, una buca nel terreno come scarico. Pavimenti nudi sporchi di fango, mura segnate da escrementi animali e un caldo insopportabile che rendeva questi odori pungenti ancora più insopportabili.... .
Ma dopotutto era solo per poche settimane,era solo una vacanza.
Poi, tre giorni dopo il loro arrivo, Abdul le presentò suo figlio minore, Abdullah, un ragazzo malaticcio di 14 anni e le disse:"Questo è tuo marito!"
"Che vuol dire 'questo è mio marito'?"
"Questo è tuo marito, sei sposata."
Suo padre aveva organizzato tutto in Gran Bretagna e Abdul aveva pagato Muhtana perché lei sposasse suo figlio. 2500$.Suo padre l'aveva venduta per 2500$

Rispettare gli usi e i costumi di chi? ma... ma siamo impazziti!
Allora se è uso impiccare o torturare uomini e donne allora è giusto rispettarli?
Ma col Cazzo!
insomma... le guerre, le guerre... beh si! Le guerre.
Se non hai altri mezzi per far finire un massacro, l'ingiustizia si le guerre.
Allora dato che i nazisti avevo l'uso di mettere ebrei, omosessuali e zingari in campi di concentramento allora dovevamo rispettare questo costume?
Oh, siamo completamente Pazzi.
E' pura fortuna che io sia nata in Italia e non in uno di quei paesi sottosviluppati di intelligenza e diritto. Abbiamo combinato un sacco di guai col femminismo ma non fa niente. Siamo libere. Libere di scegliere. Loro no. Come si chiama quell'operazione che fanno alle donne in alcuni paesi? quella per togliere loro il piacere? che già raggiungere il piacere è un'impresa... ma che siamo animali? bestie da riproduzione? e gli uomini che si sentono così piccoli e deboli da dover essere brutali per sentirsi superiori? Oh bel paradiso per alcuni maschi che possono violentare ogni santo giorno le donne con il benestare delle autorità, venderle come carne da macello, senza sentimenti, senza niente.
Mi vergogno di far parte dell'umanità. Che dovrebbe voler dire anche, sentimento di fratellanza e solidarietà fra gli uomini; capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri.
Quale umanità? quale? se voltiamo sempre la testa, voltiamo la testa comunque per nostra convenienza. Forse l'ho

già raccontato ma lo rifaccio.
una sera d'estate ero nel parchetto in corso ticinese con un amico, all'improvviso arriva una ragazza correndo e piangendo e si siede nella panchina di fronte, sconsolata, aveva tolto le scarpe ed era sporca di terra anche se aveva un vestito da sera. Io, l'unica che mi sono avvicinata. L'unica. In una sera d' estate a Milano. In una via talmente piena di gente che è impossibile camminare. Io. Nemmeno quello che si definisce uomo accanto a me si è alzato dalla sua bella panchina. Io alta 1.55. L'ho abbracciata e lei che si vergognava, che diceva grazie ma di allontanarmi che il suo uomo stava arrivando e poteva picchiarmi. Che non sapeva dove andare. E piangeva. Non mi sono mossa. E' arrivato un uomo alto 1.90 grosso, che mi ha detto di togliermi dai coglioni. L'ho sfidato (il mio accompagnatore lì fermo sulla sua panchina) ma lei si è alzata ed è andata via con lui. Avevo paura. Forse non coraggio ma incoscienza, ma era giusto. Capite. Giusto che qualcuno le andasse vicino.
Mi chiedo se non fosse andata via, io le avrei prese da lui e dai suoi amici. E la gente avrebbe guardato?
Sono indignata.
Non è che non vogliamo lottare perché crediamo nella pace. Ma solo perché siamo dei vigliacchi, vigliacchi che vivono nella loro bella casetta con quattro belle cose che la pubblicità dice che dobbiamo avere, e ci disinteressiamo del MONDO. Io compresa.
Mi vergogno.
Sono rossa di rabbia.
Se non abbiamo ideali, se ogni cosa ci è indiferrente, come mai possiamo essere migliori?

sabato 11 ottobre 2003

Associazioni empatiche

Sicuramente noi siamo bianchi e neri, io preferisco dire colorati. Insiemi di sensazioni semplici, completamente opposte, che sommandosi ci rendono esseri complessi e contraddittori, proprio perchè fatti di stati d'animo e sentimenti opposti, amari e cattivi come fiele o buoni come il miele.
E questo ci rendo noi, unici.
Discorso diverso per le associazioni spirituali, fisiche, mentali con altri esseri umani.
Si dice che gli opposti si attraggono. Non credo.
I simili si accostano e si avvicinano perchè si annusano nell'aria. Forse nati da eccezioni che sono diventate regole.. non so. Forse siamo dissimili nel gestire il quotidiano, ma simili per valori, per esperienze, per "sentire"... e quindi ci avviciniamo gli uni agli altri.
E lo si può vedere nei banchi di scuola, negli uffici, per la strada... e qui nei blog.
Ci si annusa e ci si riconosce anche qui, tra le parole scritte in digitale.

domenica 5 ottobre 2003

Tram

Il rumore del vecchio tram che passa per la Milano vecchia, la moltitudine di colori e accostamenti pazzeschi di gente diversa.
Manager e disperati che viaggiano insieme. Studenti e segretarie. Gente diversa.
Così diversa da risultare omogenea in questo vecchio tram
Era tanto che non prendevo un tram

Milano è bella. Milano è frenetica.
Mi infastidiscono gli aliti addosso, gli zaini contro la schiena, la puzza, le urla, ma mi fermo un attimo ad osservare lasciando da parte il nervosismo di questa mattina diversa

Guardo l'uomo con la valigetta e mi chiedo se ci tiene dentro il pranzo come fa il mio collega
Guardo vecchiette sorreggersi e spettegolare, parlare di medicine spettacolari e dottori bravissimi e avrei voglia di abbracciarle
Guardo l'uomo sudicio che ho a fianco e penso che ne sarà di lui,
ma il suo odore è insopportabile
sento di detestarlo per lo sporco che mi fa respirare.
Mi soffermo sugli studenti.

15 anni belli? Ho un ricordo che mi inquieta della scuola.
Amavo studiare ma non tornerei in quegli anni di sospensione tra l'infanzia e l'essere grandi. Brufoli e mele acerbe.
Ho amato i 25 anni.
Pensare che non ho mai avuto un amore scolastico, come ora non ho mai avuto un amore d'ufficio.
Forse devo sempre mettere la mia vita in scomparti separati, mai mischiarli. Il disordine che lascio ovunque alla fine ho sempre bisogno di metterlo in ordine.
Come nello scrivere che metto in ordine i pensieri.

Ma la fermata è arrivata.
La mia vita è un'altra ora.

i compiti

  difficile tenere il diario, difficile seguire le regole. Ogni cosa che mi fa pensare alla dieta  o a un pranzo, una cena, un pasto equilib...